CENTENARIO DELLA NASCITA DI RAFFAELE VIVIANI

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Viviani a 18 anni nello "Scugnizzo" di Capurro

Raffaele Viviani (Castellammare di Stabia 1888 - Napoli 1950), eccezionale interprete organico del nostro tempo, non ha ascendenti se non un intiero popolo, il suo popolo che egli avrebbe voluto ancora integro nell' entità dei suoi valori. Il suo discorso è una denuncia feroce del malessere sociale. Un grido lacerante ed autentico di un popolo che in lui si rappresenta, lotta, si giudica e giudica da protagonista nel superamento di una terrificante realtà urbana. La realtà è per il poeta una gamma di situazioni allucinanti senza fine scaturita da una disumana condizione dell' essere. Egli vive con estrema sofferenza la disgregazione di una città, Napoli, nel vortice di un quotidiano divenuto mostruoso. Il suo linguaggio è testimonianza preziosa dell' originalità del suo popolo nel riscattarsi da uno stato di emarginazione con la consapevolezza di poter raggiungere primati.
"La catastrofe che si abbatterà su Napoli (osserva Antonio Ghirelli), già oppressa dal Borbone, all'indomani dell' unità d' Italia, filtrerà attraverso il dettato lirico e malinconico di Di Giacomo, il realismo spregiudicato dei colori di Antonio Mancini, la testimonianza plastica del solitario talento scultoreo di Gemito, la pensosa ed amara ironia di Eduardo, la smorfia dinoccolata e contorta di Totò."

Viviani nasce per trasferirsi "dalla vita alle scene" e darci memoria. Lo sberleffo sofferto della sua strabiliante maschera è rappresentativo della sofferenza di ogni creatura nel sentirsi schiacciata nel deserto-città. Ogni elemento del suo teatro parla da giudice: "Ce avimm"a sulleva'/cu 'e bbraccia noste;/cheste 'e ttenimmo ccà;/so' fforte e ttoste!". Allora diciamo subito che il dialetto di Viviani non è scritto per caso ma è una scelta compiuta da un grande intellettuale come lui e non da un poeta popolare, tra virgolette, per intervenire organicamente sulla verità. Il dialetto è elemento irrinunciabile di verità che Viviani pone come sfida all' assurda condanna dei "dialetti" voluta dal fascismo, facendolo divenire strumento di conoscenza del reale intercalandosi criticamente fra la realtà presa così com'è e come dovrebbe essere:"Vulite essere sempe zingare, vuie?... Site uommene vuie? No! fino a quanno nun sarrate liberate d''a schiavitù, vuie site pecore!...". Questo pathos, vissuto come un incubo, è la ragione che fa di Viviani un grande intellettuale, un poeta italiano, universale, che nei modi del vernacolo napoletano si batte con forza al tentativo disperato di recuperare un senso di marcia verso il progresso per quella che lui stima una tribù di zingari che non vorrebbe fosse più tale, ma che già vede costretta alla sua eliminazione culturale.
Il tentativo di risposta ad un bisogno di cultura che si fa sempre più urgente in una città come Napoli è la ragione per rendere giustizia ad un autore la cui produzione poetico-teatrale assolve sicuramente ad una funzione sociale alternativa. Viviani è "la chiave" per riaprire un discorso di cultura, oggi più che mai stagnante per 1'assenza di una democrazia compiuta. Un discorso nuovo che ripristini i fili di un dibattito approfondito sulle cause che danno vita alle attuali contraddizioni della nostra società.

 

ciro ridolfini       

 


programma

 

Ciro Ridolfini recita Viviani presso la statua del commediografo

nella villa di Stabia

     

Ridolfini ripercorre i versi "Ce avimma sulleva' cu 'e bbraccia noste!"

dal palco delle autorità

 

COMITATO:

Maurizio Valenzi (Presidente) - Luciana Viviani, Pietro Valenza, Fulvio Tessitore, Giulio Baffi, Pasquale Scialò, Lucio Pirillo, Biagio De Giovanni, Gianni Pinto, Gaetano Macchiraroli, Mario Guida. Segretario del Comitato: Mario Cercola.