"SALVATORE DI GIACOMO POETA E..." |
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Salvatore Di Giacomo |
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La trascrizione in chiave teatrale di opere di narrativa e di poesia obbedisce, a nostro avviso, alla tendenza di tradurre in linguaggio iconico e fonico il testo scritto e testimonia il condizionamento sempre più clamoroso dell'esercizio culturale alle nuove formule del nostro vivere quotidiano. La sorte, già toccata a numerosissimi autori sul piccolo schermo del televisore (da Manzoni a Fogazzaro; da Verga a Bacchelli; da Tolstoi a Remarque; ecc.) va riscontrata anche sulle tradizionali assi del palcoscenico, tanto che perfino la letteratura intimista non è sfuggita a simile sorte come dimostrò il successo del Diario di Anna Frank, che commosse le platee di tutto il mondo, e come — più recentemente — ha conclamato «Il vizio assurdo» di Lajolo e Fabbri. E' indubbio che la suggestione lirica, l'emozione drammatica di una lettura individuale e solitaria (dove il lettore è attore e spettatore) si sviluppano a dismisura quando la pagina scritta si traduce in elemento scenografico dove attore, colore, luci, musica e altri effetti collaterali si fondono in una sequenza spettacolare davanti a una comunità di «lettori-ascoltatori» che si trasmettono le reazioni in un sentimento che trascende il breve cerchio di ogni personale sensibilità. |
Gli elementi dello spettacolo sono semplici e lineari: cinque attori (recitanti e cantanti), un pianoforte, un sapiente e suggestivo movimento di luci, affidato ad Andrea Guarino. E l'aver mescolato poesia e musica non ci sembra un sopruso scenico per conseguire una facile presa sul pubblico. L'elaborazione pianistica di Enrico Forte è volutamente semplice, elementare, echeggiante più il tocco ingenuo del «pianino» che l'accordo aristocratico del pianoforte. D'altronde con i brani tolti da 'O fùnneco verde, da 'O dichiaramento e da 'O nteresse si giunge agli accenti altamente drammatici d' 'O munasterio e della Zi' munacella fino a quando lo spettacolo non si acquieta proprio nei versi che Di Giacomo scrisse per le canzoni, in cui il verso è già di per se stesso musica e le parole risuonano come accenti di una melodica che attinge allo spirito anonimo di un popolo sognatore e passionale.
G.V. Paolozzi |
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Da sinistra: Italo Celoro, Camilla Scala, Ciro Ridolfini, Anna Grazia Spagnuolo, Piero Pepe
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LA NAPOLI DI SALVATORE DI GIACOMO AL SAN GENESIO
ROMA Per pochi giorni, ma con promessa di ritorno, il Centro d’attività teatrali di Castellammare di Stabia, ha presentato un collage dedicato alla «Napoli nobilissima» di Salvatore Di Giacomo (1860 – 1934). L’attenzione della ricerca è d’ordine estetico, coerentemente ad altre realizzazioni già svolte nell’ambito del patrimonio partenopeo, ma contiene altresì un preciso impegno storico e sociopolitico. Tende ad una tesi: la Napoli post-borbonica di Di Giacomo ha lo stesso colore, ma purtroppo anche gli stessi drammi , la stessa sconcertante realtà della Napoli di oggi. L’antologia comprende allora testi come i sonetti di «'O funneco verde», il poemetto «A. S. Francisco», i bozzetti di «’A strata», opere che segnano l’articolazione, per l’autore di «’O mese mariano», e «Assunta Spina», tra il realismo dei racconti e l’apertura di fantasia delle canzoni: intorno al 1890. Sono storie di amori e di delitti, di carcerri corrotte, d’istituzioni totali, di strade coi loro segreti, di porti di speranza e di malinconia: storie di folclore ma anche, e soprattutto, di concretissima, disperata naturalità. La difficile intelligibilità del vernacolo non ostacola la comprensione d’accadimenti che il ritmo musicale e l’espressività del gesto rendono sin troppo eloquenti. La ricerca, condotta con la regia di Ciro Madonna, la consulenza letteraria di Ettore De Mura e quella musicale di Enrico Forte, vede impegnati generosamente: Camilla Scala, Anna Spagnuolo, Italo Celoro, Piero Pepe, Ciro Ridolfini. La linfa del canzoniere popolare italiano costituisce sempre una miniera inesauribile, ricca sempre di fermenti vivificanti.
Giuliana Morandini Sacchetti
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